Il digitale sta dimostrando sempre di più il suo ausilio fondamentale nella vita quotidiana di bambini ed anziani, lavoratori ed imprese, lo stiamo sperimentando tutti in prima persona nel contesto di emergenza in cui siamo costretti a vivere. Senza le forme di socialità che le tecnologie consentono, che sono sì forme minori di socialità ma sono le sole possibili in regime di isolamento, nessuna misura di distanziamento sociale sarebbe tollerabile. Durante l’emergenza, anche il Consorzio Intesa ha messo in atto un’iniziativa di solidarietà digitale con questi strumenti per molti dei servizi offerti, al fine di continuare ad erogare prestazioni e accorciare distanze, garantendo in questo contesto difficile il suo contributo per un’impresa sociale sempre più capace in servizi efficaci e di utilità per le persone.
L’emergenza ha indotto un’enorme riflessione sull’utilizzo del digitale, degli strumenti quali social e chat, delle modalità di lavoro smart, mettendolo al centro di un grande dibattito. Uno degli effetti collaterali dell’epidemia è senza dubbio l’impennata nell’utilizzo delle tecnologie digitali, tra possibilità e rischi, soprattutto per i più giovani, digitalmente “fragili”. I bambini e i ragazzi si trovano oggi ad affrontare un’incredibile esperienza con la didattica a distanza, completamente proiettati nell’e-learning, la tecnologia li ha travolti ed avvolti, ed obbligati ad un corso accelerato. Un aspetto importante dell’utilizzo della tecnologia in questo periodo di isolamento forzato, deve risiedere per i minori nel fatto di poter mantenere attiva una relazione, di non privarli completamente di quell’esperienza di socializzazione e comunità che la vita normale rappresenta.
L’utilità senza ‘se’ e con dei ‘ma’ delle tecnologie digitali nelle condizioni odierne può aiutarci a capirne le loro peculiarità e le conseguenze che ne derivano e a frenare l’entusiasmo con cui si plaude alla digitalizzazione della vita e della società come l’effetto collaterale positivo della pandemia, perché non vorremmo che, guariti dal virus biologico, ci accorgessimo di averne contratto uno diverso e più subdolo, che genera abitudine a quel “distanziamento sociale” al quale proprio gli utilizzi predominanti delle tecnologie digitali già ci stavano inconsciamente portando.