“No, mio marito non mi picchia, mi ha dato solo uno schiaffo. Però in effetti la pasta non era cotta bene”. È una delle tante asserzioni delle donne con cui vengono a contatto gli operatori e le operatrici dei Servizi Sociali dell’AIPES-Consorzio per i Servizi alla Persona. A raccontarcelo è la Dott.ssa Federica De Santis, Psicologa Clinica formata in Psicoterapia Relazionale e Familiare, Responsabile dell’Area Sociale dell’AIPES-Consorzio per i Servizi alla Persona e del Consorzio dei Comuni del Cassinate.
Ce lo dice, intervistata, a proposito del fenomeno della violenza sulle donne. “Rappresentando all’interno dei piccoli Comuni del nostro territorio uno sportello sociale che esiste da 20 anni, all’AIPES abbiamo una visione abbastanza globale di quelle che sono le vicissitudine”, afferma la Dott.ssa De Santis. Il primissimo contatto è fondamentale. “C’è una enorme difficoltà, probabilmente anche culturale, a far emergere questo tipo di problematiche. Spesso chi chiede aiuto non è la donna, la maggior parte delle volte è solo nel momento in cui si avvia un rapporto di tipo psicologico o sociale con l’utente che si acquisiscono determinate situazioni e si capisce ed intuisce che la persona è vittima di un carnefice che la condiziona, la fa sentire incapace, le impedisce di fare delle cose”, ci spiega la Dott.ssa De Santis. “Ed il lavoro più difficile dell’operatore comincia in quel momento e consiste nel far capire alla donna che quel tipo di relazione non è la
normalità. Si tende sempre a giustificare l’altro. Tale giustificazione è sostanzialmente caratteristica del rapporto vittima-carnefice ed è l’aspetto più difficilmente sradicabile”, continua la Dott.ssa De Santis. Ed aggiunge, “Sono sicuramente una minoranza le donne vittime di violenza psicologica o di maltrattamenti in famiglia che ci chiedono un aiuto diretto. Complici la paura, la dipendenza economica”. “È capitato nel corso degli anni di essere chiamata anche da donne che hanno subito violenza sessuale, fisica.
Ce lo dice, intervistata, a proposito del fenomeno della violenza sulle donne. “Rappresentando all’interno dei piccoli Comuni del nostro territorio uno sportello sociale che esiste da 20 anni, all’AIPES abbiamo una visione abbastanza globale di quelle che sono le vicissitudine”, afferma la Dott.ssa De Santis. Il primissimo contatto è fondamentale. “C’è una enorme difficoltà, probabilmente anche culturale, a far emergere questo tipo di problematiche. Spesso chi chiede aiuto non è la donna, la maggior parte delle volte è solo nel momento in cui si avvia un rapporto di tipo psicologico o sociale con l’utente che si acquisiscono determinate situazioni e si capisce ed intuisce che la persona è vittima di un carnefice che la condiziona, la fa sentire incapace, le impedisce di fare delle cose”, ci spiega la Dott.ssa De Santis. “Ed il lavoro più difficile dell’operatore comincia in quel momento e consiste nel far capire alla donna che quel tipo di relazione non è la
normalità. Si tende sempre a giustificare l’altro. Tale giustificazione è sostanzialmente caratteristica del rapporto vittima-carnefice ed è l’aspetto più difficilmente sradicabile”, continua la Dott.ssa De Santis. Ed aggiunge, “Sono sicuramente una minoranza le donne vittime di violenza psicologica o di maltrattamenti in famiglia che ci chiedono un aiuto diretto. Complici la paura, la dipendenza economica”. “È capitato nel corso degli anni di essere chiamata anche da donne che hanno subito violenza sessuale, fisica.
Quello che più mi ha colpito di queste situazioni è stato il dubbio della vittima di denunciare o meno”, ci confida la Dott.ssa De Santis. Serve del tempo ed una strategia efficace per portare in salvo chi è stata violata. I Servizi Sociali dell’AIPES lo fanno sfruttando la padronanza del territorio, facendo rete, lavorando in forte simbiosi con le associazioni della consulta distrettuale che si occupano di queste tematiche, quale ad esempio l’Associazione “SOS Donna”, ma anche con le forze dell’ordine. I dettagli e i tratti importanti di certe storie riescono a finire, così, a volte, in schede. In quei documenti dolori e timidezze prendono forma. Insieme alle generalità del maltrattante, quelle della donna. E, a volte, del minore, vittima a sua volta di violenza assistita. Un lavoro prezioso. “Chiaramente
nel momento in cui si porta una donna alla denuncia o a riconoscere i segni di una violenza subita, si inizia un percorso complesso che implica l’uscita di casa, spesso l’incomprensione del nucleo familiare e dei parenti. Si attivano protocolli di emergenza, avviene una collocazione delle vittime in strutture idonee, le si aiuta a regolamentare l’affidamento dei figli, si accompagnano in un percorso di autonomizzazione con un sostegno forte e costante affinché le vittime non tornino indietro”, sottolinea la Dott.ssa De Santis.
nel momento in cui si porta una donna alla denuncia o a riconoscere i segni di una violenza subita, si inizia un percorso complesso che implica l’uscita di casa, spesso l’incomprensione del nucleo familiare e dei parenti. Si attivano protocolli di emergenza, avviene una collocazione delle vittime in strutture idonee, le si aiuta a regolamentare l’affidamento dei figli, si accompagnano in un percorso di autonomizzazione con un sostegno forte e costante affinché le vittime non tornino indietro”, sottolinea la Dott.ssa De Santis.
Abbiamo chiesto alla Dott.ssa De Santis di fare un appello alle donne. “Ecco, io le invito ad avere amore e rispetto per se stesse. Io dico sempre: amore non è violenza verbale, fisica, psicologica. Amore è rispetto. Io direi loro di pretendere rispetto. Se non c’è rispetto non c’è amore”, ci ha detto.
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